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La mia terra che chiama

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Un diario in cui mi specchio

il richiamo dei cedri

su questa piazza

imbambolata di essenze non vere,

robusti e impazienti i miei alberi

stanno in attesa, e solo ombre

che l’aria respinge.

Quand’è sera sono una giostra

a luci spente,

se tendo le braccia

un mondo vuoto batte il polso

e io ghiaccio di abbandono

viaggio distante

che fa male allo sguardo,

dilania perfino la pagina.

Porta via montagne sognate

mentre ginestre e occasi 

scolorano dentro le nubi

- non c’è misura di tanto sparire

a un passo dal cuore.

 

Alla poetessa Ofelia Giudicissi Curci (Pallagorio 1934 – Roma 1981). Poesia pubblicata nella rivista Euterpe n. 32, dicembre 2020, di Associazione culturale Euterpe.

 Arcangelo Galante - 20/12/2020 14:21:00 [ leggi altri commenti di Arcangelo Galante » ]

Un estremo romanticismo avvolge l’opera tutta, con un melanconico pathos di altri tempi.
La poetessa ammira la terra con commozione di mente e cuore, accorgendosi di un insolito scenario che, colpendo la propria attenzione, ispira versi soffusi e intensamente meditativi.
E il lettore non può che avvicinarvisi con suggestione e coinvolgimento emotivo, simili alla delicatezza del lirico contenuto.

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